lunedì 24 marzo 2008

PERCHE' L'ITALIA E' IN FORTE DECLINO...

Interessante disamina sui mali del nostro Paese. Da leggere. Individuate sul portale giornalistico "L'Occidentale", che tra l'altro fra pochi gironi fa un anno di vita.

fonte: www.loccidentale.it

Dieci motivi per cui l'Italia cresce troppo poco
di Francesco Forte
Io qui presento il decalogo degli handicap che bisogna affrontare per far crescere la nostra economia. Mi pare che sia il vero test per valutare i programmi elettorali attuali dei due maggiori schieramenti e quello della rosa bianca. Per valutare le “promesse” su cui i leader insistono nella presentazione di tali programmi, di fatto individuandone le priorità. Esso è anche il test per valutare l’attitudine a generare crescita dei governi dei partiti di questi leader, quando furono al governo e quindi la credibilità delle promesse . Il test, infine, è essenziale per valutare la attitudine dei compagni di strada dei due schieramenti a generare crescita.

I dati della nostra economia in confronto a quelle vicine di Francia e Spagna giustificano la necessità di porre in prima linea il problema della ripresa della crescita del nostro Pil e quindi dell’esame degli handicap ad essa, in relazione alla politica economica italiana. Nel 2006, l’Italia ebbe un aumento del Pil (prodotto interno lordo) dello 1,8%, la Francia del 2 e la Spagna del 3,9. Nel 2007, l’aumento del nostro Pil è di 1,5, quella della Francia a di 1,9 e della Spagna di 3,8. Per il 2008, per l’Italia si prevede lo 0,6 , per la Francia 1,7 e per la Spagna 2,7. Nel decennio 1991-2001 l’Italia ha avuto una crescita del Pil del 1,6%, la Francia del 2, la Spagna del 2,8, la Germania del 2,1 e la media dell’Europa dei 15 è stata del 2,2. Dal 2001 al 2006 l’Italia ha avuto una crescita dello 0,9 contro lo 1,6 della Francia, il 3,3 della Spagna e lo 1 della Germania e la media dello 1,8 dell’Europa dei 15.

Eppure la nostra industria si è ristrutturata e va bene nell’export. Qui il declino relativo rispetto al resto di Europa non c’è. Il nostro export è il 3,1 di quello mondiale, quello spagnolo dello 1,7, quello della Francia il 4,1 e quello della Gran Bretagna che fruisce dell’area della sterlina di poco superiore al nostro, il 3,8%. Solo la Germania con lo 8,6 ci batte. E’ vero che rispetto al 1991 siamo regrediti di 1,4 punti. Ma questo dipende dal fatto che nel frattempo sono comparsi sul commercio mondiale i giganti asiatici e l’ex Urss. Rispetto al 1991 la Germania e la Francia hanno perso 2,1 punti, la Gran Bretagna 1,5 punti. L’Italia ha una produzione industriale manifatturiera maggiore della Francia: 317 miliardi di euro contro 276 (dati 2005). La spagnola è solo di 180. Ma l’Italia non cresce a causa di ostacoli collegati alla politica economica sbagliata, in gran parte inventata dalla sinistra degli anni 70 e dai post comunisti successivi , di cui per altro il parlamento non si è curato, anche quando la maggioranza è stata degli altri.

Riassumo in un decalogo le ragioni per cui l’Italia non cresce.
Il primo handicap è che sono state bloccate le “grandi opere”, in primis la Tav, e il Ponte sullo Stretto grande volano di ordinativi industriali.
Il secondo handicap sta nelle procedure bizantine dell’ambiente e nel monopolio burocratico dell’Anas che bloccano i lavori pubblici. La valutazione di impatto ambientale impiega dai mille ai mille cinquecento giorni dall’inizio della procedura alla firma del Ministro. La legge obbiettivo che doveva semplificare ciò è stata fermata. Mentre l’economia italiana non può contare sul traino dei lavori pubblici, i costi delle attività produttive sono aggravati dalla carenza di infrastrutture . Ciò si ripercuote sul turismo italiano, handicappato rispetto allo spagnolo e al francese. La mancanza di infrastrutture riduce la domanda e peggiora i servizi turistici. A ciò s’aggiunge la carenza di sicurezza e ora l’immagine della spazzatura napoletana.

Quarto handicap, l’ostilità a termovalorizzatori, gassificatori, centrali a carbone pulito, nucleare sicuro, cioè ad una politica energetica meno ridicola del programma basato sulle energie del sole e del vento sovvenzionate a carico dell’industria elettrica e del contribuente. L’Italia, paese manifatturiero per eccellenza, ha un costo differenziale d’energia. Un quinto handicap è costituito dalla marea di regolamentazioni delle imprese, che s’accresce di continuo e dalle disfunzioni della giustizia .Ci vogliono 284 giorni per la licenza per costruire un capannone. E 1210 per le controversie legali su un contratto. Il sesto handicap è che in Italia non si può fare nulla senza il consenso dei sindacati federali. La inadeguata produttività dipende dal fatto che i salari sono contrattati a livello nazionale, non periferico e non sono commisurati al rendimento dei singoli. E al lavoro flessibile si sono posti crescenti ostacoli, compreso un onere contributivo sempre più elevato,che induce molte imprese a tornare al sommerso.

Il settimo handicap riguarda il settimo comandamento,“non rubare”, e s’applica,in senso traslato, alla burocrazia pubblica e alla sua casta. I dipendenti pubblici sono 3 milioni e 540 mila. Dal 2000 al 2005 hanno avuto un aumento di retribuzioni del 23%, contro l’aumento del 13% dei privati. I dirigenti generali pubblici hanno avuto aumenti di stipendi del 53%, i dirigenti del 28 e i funzionari del 16%. Il vertice burocratico si aumenta gli stipendi, mentre l’assenteismo di statali, parastatali ed addetti d’agenzie pubbliche è il 15%; ed arriva al13% per i comuni le Asl. A ciò si collega l’ottavo handicap: la pressione fiscale passata dal 40,6 % del 2005 al 43,2% attuale,che frena la crescita. Un nono handicap: le imposte gravano troppo sui proventi e i costi delle imprese e sugli scambi di ricchezza. Sui proventi delle imprese l’onere, inclusa Irap, è il 40%. I tributi di registro sono il 10%. Così il patrimonio immobiliare è mal gestito, perché il mercato non funziona. Fra contributi sociali ed Irap gli oneri sulle retribuzioni lorde pagate dalle imprese supera il 45%. Il decimo handicap è il costo elevato e il rendimento scadentissimo dei legislatori, che, come sostiene il professor Massimo Ferrara in un breve scritto su “Il fisco”, aumenta l’evasione fiscale e quindi riduce la possibilità di diminuire il peso fiscale su chi paga.

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